22 marzo 2010

Love Never Dies?

Come saprete, amo alla follia The Phantom of the Opera. E' praticamente il musical che mi ha fatto innamorare del musical. La prima copia che riuscii a recuperare me la fece un'amica che studiava in Inghilterra, registrando su cassetta il doppio LP che trovò nella discoteca della famiglia dove abitava, nei primissimi anni Novanta. Poi trovai il romanzo originale di Leroux in una libreria dell'usato a Trieste, e la cosa che mi colpì era il logo del musical in copertina, con tanto di maschera bianca e rosa rossa, ma già tradotto in italiano. Penso di averlo letto cinque o sei volte, ed ogni volta era un'emozione diversa.
Ora, dare un seguito a questo capolavoro... Era davvero necessario? Voglio dire, a Lord Lloyd Webber credo che i soldi non manchino; per cui voglio escludere a priori il lato puramente commerciale-economico della faccenda. Voleva assolutamente dare un seguito alla storia? Poteva farlo, ma doveva dar retta al destino che alcuni anni fa, sotto forma di gatto, gli cancellò dal sintetizzatore tutto il lavoro compiuto, e lasciar perdere.
E invece, eccoci qua. Sinceramente, io ci sono rimasto male. Ho apprezzato lo "sforzo" di cercare un sound diverso, più vicino alla modernità da inizi novecento che allo stile da grand-opera/pucciniano dell'illustre precedente; ma è l'operazione in sé che secondo me è nata male e proseguita peggio.
Love Never Dies conferma, purtroppo, che Webber non è in grado di creare musica "colta" senza scadere nel mostruosamente noioso, e che il suo estro è finito nel 1993, con Sunset Boulevard. Viale del Tramonto, un titolo, un dato di fatto. Dopo ha creato qualche bella e struggente e potente melodia, ma non un musical che funzioni nel suo insieme.
Il Phantom funziona perché non lascia respiro: le melodie si susseguono alle melodie, i richiami si sussegono ai richiami, i grandi show-stoppers sono memorabili; in Love Never Dies ce n'è uno solo, è bello e orecchiabile, certamente, ma finisce lì. Lasciamo perdere il plot, che fa acqua da tutte le parti. E la title-song, checché ne scriva Webber in persona nel libretto, rimane un'auto-scopiazzatura-riciclaggio ingiustificabile per un compositore della sua levatura.
Magari a teatro è uno spettacolone, e avrà un successone clamoroso. Ma dubito. Peccato, sarà persa un'altra occasione.