Trieste, 22 marzo 2014. - Forse era scritto nelle stelle, quelle che brillano sulla volta del Rossetti di Trieste: non potevo saltare questo appuntamento con il ritorno di Cats in Italia. Tanto più che avevo tre motivi in più per rivederlo: uno, la presenza di Filippo Strocchi - unico italiano nel cast internazionale - nella parte ruffiana e cucita addosso a lui di Rum Tum Tugger.
Due, a interpretare Grizabella c'era Joanna Ampil: chi è appassionato di musical sa che "mostro sacro" sia Joanna Ampil.
Tre, volevo che le mie bimbe Beatrice e Sofia, 6 e 3 anni rispettivamente, rimanessero incantate - come me a suo tempo - di fronte a questa pietra miliare del musical moderno. Il giorno della prima triestina - di questo piccolo tour che ha toccato solamente il capoluogo giuliano (dopo lo strabordante successo del 2008) e Milano al Teatro Arcimboldi - ero però in trasferta di lavoro al Winter Garden Hotel di Bergamo.
Primo segnale: il Winter Garden è il teatro di Broadway dove Cats fece il suo debutto americano nel lontanissimo 1982. Per tutta una serie di motivi che non sto a spiegare, avevo dovuto rinunciare ai quattro biglietti già prenotati per la replica di sabato pomeriggio. Ma evidentemente il destino la pensava diversamente: una telefonata di una cara amica mi spinse a riconsiderare la cosa, e vedere uno spiraglio, almeno per me e Beatrice. Due biglietti in quarta fila spuntarono fuori, più per fortuna che per giudizio. A quel punto mia moglie sbottò: e cosa, solo tu e Beatrice? Ed io e Sofia?!? Passai un brutto quarto d'ora il sabato mattina: ma il caso volle (secondo segnale) che proprio il 22 marzo fosse il compleanno di Andrew Lloyd Webber, l'autore delle musiche di Cats. A volte le coincidenze non capitano a caso. E così, altri due biglietti in platea, lateralissimi e in fondo, ma veramente gli ultimissimi disponibili, erano lì per noi.
Che dire: risultato raggiunto appieno. Vuoi la magia della grande sala del teatro, con le stelle e le nuvole sul soffitto, vuoi la scenografia che straborda dal palco per invadere la platea, vuoi la grande luna piena sullo sfondo... Beatrice e Sofia son rimaste a bocca aperta. E appena le luci si sono abbassate, e i micioni hanno cominciato a sbucare da ogni dove, passando proprio accanto a Beatrice... patatràc! L'incanto è iniziato.
Nonostante i suoi 33 anni di vita, Cats rimane un musical assolutamente moderno, e ancora innovativo e strabiliante agli occhi di chi non l'ha mai visto e anche di chi l'ha già visto una, due, cinque, dieci volte. Nonostante le coreografie gattesche, nonostante i costumi attilati che fanno sempre molto anni Ottanta, nonostante l'enorme discarica, immobile e immutabile. Eppure, il fascino e la magia che la musica, i testi, la regia, le movenze feline e le continue invasioni dei gattoni in platea e i loro ammiccamenti al pubblico (i bambini in autentico visibilio, ovunque) sanno creare ad ogni recita, è innegabile.
Pur con un allestimento leggermente modificato rispetto all'originale (manca il trapezio dove qualche gatto volteggia, e anche la scalinata finale che scende dal cielo è sostituita da una meno affascinante navicella volante travestita da nuvoletta), e orchestrazioni riviste in chiave metal-sintetica (eh sì, la differenza si sente), Cats ormai è un grande classico che ad ogni visione regala spunti inediti e nuovi dettagli da scoprire e riscoprire.
Certo, il grande punto di forza di questo show son proprio i performer, che instancabili ballano, saltano, sgambettano, fanno le fusa e mille acrobazie che il palco sembra davvero troppo stretto per contenerli tutti.
Audio impeccabile. Disegno luci da urlo. Sarà stata la commozione per vedere mia figlia accanto così eccitata e coinvolta, saranno state le musiche, sarà stato quello che volete, ma buona parte del primo atto l'ho passata con gli occhi lucidi, e magari qualche sbavatura l'ho persa. Ma sarebbe come cercare un ago in un pagliaio.
Tra i momenti che amo di più, oltre l'ouverture, certamente il brano del buongustaio Bustopher Jones, le moine e ammiccamenti di Rum Tum Tugger, l'arrivo di Old Deuteronomy, la ripresa mistica-corale di Memory all'inizio del secondo atto, il gatto teatrante Gus col suo splendido duetto The ballad of Billy McCaw, la locomotiva che i gatti compongono per Skimbleshanks, il magico soffio sulla mano col quale Mr. Mistoffelees spegne gradatamente tutte le luci e le lucine del teatro (effetto che si perde dalle prime file in platea!), e, naturalmente, Memory. Un brano al quale sono particolarmente legato, perché l'ho sempre amato fin da quando non avevo la più pallida idea che fosse la canzone più bella di tutte in un musical che ho imparato ad apprezzare col tempo.
L'immagine che serberò tra tutte, però, è il momento in cui Munkustrup è sceso in platea e tra tutti i bambini, ha individuato proprio Beatrice: le si è avvicinato sempre guardandola negli occhi, con quel fare felino che ti sembra proprio di avere un gatto davanti, Beatrice si è alzata, i due hanno avvicinato le teste... e hanno fatto "naso-naso"!
Per un attimo si è persino dimenticata di essersi innamorata di Filippo Strocchi - Rum Tum Tugger...
*** SPOILER *** Menzione speciale alle liriche italiane di Franco Travaglio, che a sorpresa irrompono alla ripresa del secondo atto, e ti fanno pensare: ma guarda te, questo show avrebbe ancora un potenziale enorme, nell'allestimento originale e l'adattamento in italiano. Vincessi quei 50 milioni di euro al Superenalotto, lo produrrei io. *** / SPOILER ***