Trieste, Politeama Rossetti (e dove, sennò), 15 aprile 2011 - Vi dico subito la verità: sono rimasto letteralmente sopraffatto. Sono andato a teatro un po' impreparato, lo ammetto, perché Chess non rientra tra i musical che ascolto abitualmente, e ne conoscevo solo i brani più famosi: I know him so well, Someone else's story, Heaven help my Heart, e pochissimi altri. Mi chiedevo come facesse a reggere un intero musical su un plot così esile, un torneo di scacchi in piena Guerra Fredda, e perché mai la storia di questo show fosse stata sempre così travagliata, con allestimenti e trame diverse a seconda del paese dove veniva allestito.
E invece, sono stato travolto, e sono ancora senza fiato. In Italia non s'è visto ancora nulla del genere, benché il regista e coreografo Craig Horwood non sia nuovo a questo tipo di operazioni, già sperimentate con successo nei musical Sunset Boulevard e Martine Guerre: in Chess i performer non si "limitano" a cantare, recitare e ballare, come succede in ogni musical, ma suonano gli strumenti in scena, e gli strumenti stessi diventano via via oggetti scenici. All'inizio si rimane davvero spaesati, sembra quasi un trucco; ma bastano pochi minuti e tutto diventa incredibilmente naturale.
La trama, dicevamo. Tutto ruota attorno alle ambizioni di un uomo e di una donna: il campione russo di scacchi Anatoly Sergievsky (un potente e convincente Daniel Koek), che per i sogni di gloria sceglie di restare in Occidente; e la sua amante Florence Vassy (una dolcissima e determinata Shona White), già compagna del campione americano Freddie Trumper (un eccezionale James Fox: qualcuno si è divertito a cronometrare l'acuto in Pity the Child, uno dei brani di punta del musical. 26 secondi. Sì, ma da sdraiato). Il triangolo amoroso si complica, sullo sfondo di cospirazioni internazionali, servizi segreti, ex mogli (la brava Poppy Tierney nella parte di Svetlana: la sua apparizione nel secondo atto, per cantare Someone Else's Story, ha un che di mistico), padri creduti morti ma forse no, di strapotere delle tv, di illusioni e corruzione; e alla fine, come in ogni partita a scacchi, e come viene spiegato nel brano di apertura, ogni mossa è figlia della precedente e determinerà la seguente, e ogni partita è diversa, e comunque ci sarà un vincitore e un perdente.
Dal punto di vista musicale, Chess è una raffinata partitura pop-rock, intrisa di tutti gli stilemi degli Anni Ottanta, ma riletta con gran classe nell'orchestrazione di Sarah Travis; del resto violini, violoncelli, flauti, clarinetti e trombe abbondano tra i performer-musicisti. Un'opera che merita più di un ascolto per essere apprezzata, perché Biorn Ulvaeus e Benny Anderson - i maschi degli ABBA, per intenderci - non hanno lesinato in riprese, duetti e quartetti intricati, oltre ad aver composto alcune delle pagine più belle della storia del musical moderno.
Le scene di Christopher Woods intrappolano tutto su una grande scacchiera luminosa, che invade anche le quinte, e sulla quale, come pedine, si muovono i protagonisti e l'ensemble, vestito come i pezzi degli scacchi con sfarzo e un tocco di kitsch. E finezza nella finezza, un grande schermo sullo sfondo rimanda in diretta quello che succede in scena ripreso da piccole telecamere piazzate sulle trombe.
La vera forza di questo show, però, sta soprattutto in altro: le liriche di Tim Rice, giustamente insignito quest'anno del Premio Internazionale dell'Operetta nel corso di una cerimonia-intervista che si è tenuta nel tardo pomeriggio; e il paroliere di JCS, Evita, Il Re Leone, Joseph, era presente in sala a godersi lo show, per la gioia di decine di fans entusiasti.
Chess è arrivato al Rossetti in esclusiva nazionale - in lingua originale, con i sottotitoli in italiano (fondamentali per apprezzare i testi e l'intreccio!) - unica tappa del tour inglese nella vecchia Europa e prima dell'unica tappa oltreoceano, a Toronto in autunno.
Qui sotto il video promozionale dello spettacolo: CHESSpettacolo!
2 commenti:
Che invidia caro Franz!
Personalmente amo moltissimo Chess (e non definirei propriamente "esile" la trama, ma questo probabilmente perché io di spie e intrighi internazionali non ho mai capito niente), e mi sarebbe piaciuto vedere questo UK Tour di cui tutti dicono un gran bene. Anche se non capisco come i performer possano cantare e suonare nello stesso spettacolo. Dovrei vederlo dal vivo, decisamente. :-D
E poi c'era Tim Rice. Mi ripeto: che invidia!
Certo, io posso vedermi il dvd del concerto di Londra con Josh Groban e Idina Menzel, ma l'esperienza dello show dal vivo secondo me non ha paragoni.
Diciamo che l'ho definita "esile" perché in fondo in fondo l'intreccio di base è il solito triangolo (quadrilatero?) amoroso, immerso in questa algida atmosfera bianca e nera che rende in maniera quasi materiale l'idea dello scontro tra le opposte fazioni politiche ed economiche in ballo.
Per quanto riguarda i performer che anche suonano in scena (a memoria, naturalmente), è proprio così: esclusi i quattro protagonisti principali (ma mica vero: James Fox intona "Pity the Child" sulle note della chitarra che suona lui stesso), tutti gli altri performer suonano a turno gli strumenti dal vivo. E' una cosa semplicemente impressionante.
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