Trieste, Politeama Rossetti, 5 febbraio 2015 - A volte li clonano. I Johnny Dorelli. Va bene che la partitura era stata pensata e scritta dal maestro Trovajoli proprio per lo showman che poi l'avrebbe interpretata per centinaia di repliche; ma sentire cantare Gabriele De Guglielmo, il giovane performer che interpreta Don Silvestro, a cui si deve - con il regista Fabrizio Angelini - l'idea di portare in scena questo nuovo allestimento di Aggiungi un Posto a Tavola, sembra quasi di trovarsi di fronte ad un giovane Dorelli.
E vengono subito in mente i grandi spettacoli del sabato sera degli anni Settanta, ad una televisione ancora in bianco e nero, ma anche per questo fatta con cura, amore, intelligenza, rispetto per il pubblico, e idee. Soprattutto idee. Perché il colore non si vedeva, bisognava immaginarlo e saperlo rendere anche con le sfumature di grigio. Qui ci sono le mille sfumature del legno, perché si parla di Aggiungi un Posto a Tavola, di una commedia musicale che parla di arche da costruire, di diluvi universali imminenti, dei tormenti e delle ipocrisie del clero, ma anche di amore, brava gente, buoni sentimenti. E c'è una brava e giovane compagnia, la Compagnia dell'Alba di Ortona, che con tenacia e convinzione è riuscita, tre anni fa, a farsi concedere i diritti per questa produzione di una delle commedie musicali di Garinei & Giovannini più famose, amate e rappresentate nel mondo.
Bisognava farla esattamente così come andava fatta: come l'originale, più piccola nelle scene - ispirate a quelle storiche di Coltellacci - per poterla portare anche nei teatri di provincia. Magari rinfrescare le coreografie, perché "Aggiungi è come Cats: hanno provato a cambiare la danza, ma non è più la stessa cosa", come mi raccontava dietro le quinte Simona Patitucci, travolgente Consolazione di questa edizione in tour. "La gente che affolla gli spettacoli ogni sera, in fondo vuole proprio questo. Vuole quello spettacolo. Perché cambiare?"
Stanco, ma soddisfattissimo, anche Fabrizio Angelini. "Dedichiamo queste recite a Pietro Garinei, nato proprio a Trieste, e che avrebbe compiuto gli anni proprio il 1° febbraio", racconta alla platea alla fine della prima, applauditissima, triestina. E poi, dietro le quinte: "E' una gran fatica. Portiamo in giro per l'Italia 30 persone. Ma credimi, è una grande, grande soddisfazione. E se ci vengono riconfermati i diritti, molto probabilmente proseguiremo anche il prossimo anno; abbiamo dato, investito e creduto talmente tanto nel primo anno di tour, che questo secondo è più facile e ragionato. E i risultati si vedono"
Angelini si ritaglia la macchiettistica parte del Sindaco Crispino, Carolina Ciampoli è una dolce e convincente Clementina, la giovane figlia del sindaco innamorata di Don Silvestro, mentre Gaetano Cespa è un ingenuo, ma determinato, Toto.
Tutti all'altezza, nel canto come nelle coreografie, gli altri protagonisti. E lo spettacolo, complice anche il cielo stellato del Rossetti che ancora una volta si fa scenografia aggiunta nella scena della notte degli amori... fila via con grazia, divertimento, poesia.
Il folto pubblico, con tantissimi giovani studenti tra le fila, apprezza e ride alle battute semplici e magari un po' naif, come vuole il copione. Ma l'arrivo in scena della colomba (la voce di Dio è del bravo Tommaso Di Giorgio) coglie ancora di sorpresa chi non conosce il finale di questa bella e godibilissima commedia ormai intramontabile, in scena a Trieste fino a domenica 8 febbraio. Da non perdere: info e biglietti ancora disponibili.
06 febbraio 2015
23 gennaio 2015
Dopo 40 anni, sempre Superstar
Trieste, Politeama Rossetti, 21 gennaio 2015 - Partiamo dal fondo. Il vero spettacolo di questo Jesus Christ Superstar targato Massimo Piparo, va in scena nel foyer DOPO lo spettacolo, quando decine e decine di fan attendono con pazienza e trepidazione l'arrivo del mito in persona: Ted Neeley. Per i pochi che ancora non lo sapessero, è l'interprete originale di Jesus nella celeberrima (orrenda parola) versione cinematografica dell'opera rock di Webber e Rice che più di ogni altra è entrata nell'immaginario collettivo, influenzando in modo più o meno marcato ogni rilettura successiva dell'opera stessa.
Ted Neeley, ultrasettantenne in splendida forma, si concede a tutti gli spettatori come se li conoscesse da sempre, uno a uno: non si limita ad una foto veloce o ad una stretta di mano, e avanti il prossimo; no, chiacchiera, domanda, si stupisce, firma autografi, scrive dediche, si presta ad ogni inquadratura e si assicura che ogni scatto sia venuto bene. Uno, due, tre, cinque minuti a fan. Non stupisce che questi incontri post-show durino un paio d'ore alla volta, ed è quasi commovente vedere l'umiltà e la pazienza di questa autentica icona del teatro musicale alle prese con schiere sterminate di appassionati in fervida devozione.
A me ha stretto la mano cinque volte, prima di lasciarmi andare, e non prima di aver risposto in modo estremamente esauriente alla domanda posta da Enrico Comar, uno dei bravi collaboratori di Amici del Musical ("That's amazing", ha pure esclamato felice Ted, quando gli abbiamo rivelato che eravamo lì per il nostro network di appassionati), centrata sul perché il musical finisse con la crocifissione di Cristo. "E' semplicemente perché Tim Rice e Webber hanno voluto raccontare gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù Cristo, proprio dal punto di vista umano." Ha risposto con pacatezza. "E' solo dopo averlo crocifisso, che si chiedono se c'era davvero qualcosa di divino in lui."
Certo, la geniale operazione di marketing della nostalgia messa in piedi da Piparo funziona alla grande (nei mesi scorsi al Sistina di Roma si è svolta la reunion con altri due interpreti storici del film: Yvonne Elliman - Mary Magdalene e Berry Dennen - Pilate; ma quindici anni fa aveva portato in scena il Judas di Carl Anderson), e anche il pubblico triestino ha risposto con un teatro Rossetti strapieno, spettatori in autentico visibilio e standing ovation finale (fino al 25 gennaio, ancora pochissimi posti disponibili qui).
Se il cast è davvero all'altezza, capitanato dalla superstar Neeley che ancora sfodera gli acuti - magari smorzati - per il quale è diventato così famoso, non si può dire la stessa cosa della regia di Piparo, molte volte confusa, e del pessimo bilanciamento dell'audio: l'orchestra dal vivo, condotta con energia da Emanuele Friello, copriva in modo assordante gran parte delle voci e dei cori, spesso sovrastati completamente. Ed è un vero peccato, perché la partitura di Webber è un capolavoro di rimandi, stili diversi e sonorità rarefatte che ieri sera si sono perse in gran parte.
Il grande videowall a led che costituisce gran parte della scenografia ideata da Teresa Caruso, assieme all'immancabile scalinata, alla pedana rotante che accoglie parte dell'orchestra e alle inevitabili impalcature (non ricordo allestimento di JCS che non avesse almeno uno di questi elementi), contestualizza i testi di Rice ai versetti dei vangeli dai quali sono tratti, in una sorta di metasopratitoli, e si presta alla parata delle immagini di tutti gli orrori del mondo che ormai sono diventati la cifra registica di questi venti anni di JCS durante il brano finale Superstar (l'uso della videocamera e l'ingresso in platea dal foyer di Judas e Jesus benedicente fa sempre il suo gran effetto).
Il resto del cast, dicevamo. Feysal Borciani (Judas) sembra Carl Anderson da giovane, del resto è stato scelto da Neeley e Piparo tra 500 candidati anche per questo, oltre che naturalmente per la bravura che infonde nel ruolo. Simona Distefano, voce eccezionale, incarna una Mary Magdalene dolcissima. Emiliano Geppetti è un Pilato tormentato, Claudio Compagno è convincente nel doppio ruolo di Simon Zealotes e Pietro, Salvador Axel Torrisi interpreta con divertita ironia un Erode che sembra uscito da Shrek, mentre la coppia Francesco Mastroianni - Caiaphas e Paride Acacia - Hannas fanno faville nei loro costumi da sacerdoti. Discepoli, popolo, mangiafuoco e trampolieri si muovono con instancabile precisione ed energia agli ordini di Roberto Croce. Ottimo il disegno luci di Umile Vainieri, e bella l'idea delle spade luminose che sembrano fendere l'aria a ritmo di musica.
Nonostante i tantissimi fan e conoscitori della partitura a memoria, in questi 40 anni nessuno ha però ancora capito che non si applaude in mezzo a Gethsemane.
Ted Neeley, ultrasettantenne in splendida forma, si concede a tutti gli spettatori come se li conoscesse da sempre, uno a uno: non si limita ad una foto veloce o ad una stretta di mano, e avanti il prossimo; no, chiacchiera, domanda, si stupisce, firma autografi, scrive dediche, si presta ad ogni inquadratura e si assicura che ogni scatto sia venuto bene. Uno, due, tre, cinque minuti a fan. Non stupisce che questi incontri post-show durino un paio d'ore alla volta, ed è quasi commovente vedere l'umiltà e la pazienza di questa autentica icona del teatro musicale alle prese con schiere sterminate di appassionati in fervida devozione.
A me ha stretto la mano cinque volte, prima di lasciarmi andare, e non prima di aver risposto in modo estremamente esauriente alla domanda posta da Enrico Comar, uno dei bravi collaboratori di Amici del Musical ("That's amazing", ha pure esclamato felice Ted, quando gli abbiamo rivelato che eravamo lì per il nostro network di appassionati), centrata sul perché il musical finisse con la crocifissione di Cristo. "E' semplicemente perché Tim Rice e Webber hanno voluto raccontare gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù Cristo, proprio dal punto di vista umano." Ha risposto con pacatezza. "E' solo dopo averlo crocifisso, che si chiedono se c'era davvero qualcosa di divino in lui."
Certo, la geniale operazione di marketing della nostalgia messa in piedi da Piparo funziona alla grande (nei mesi scorsi al Sistina di Roma si è svolta la reunion con altri due interpreti storici del film: Yvonne Elliman - Mary Magdalene e Berry Dennen - Pilate; ma quindici anni fa aveva portato in scena il Judas di Carl Anderson), e anche il pubblico triestino ha risposto con un teatro Rossetti strapieno, spettatori in autentico visibilio e standing ovation finale (fino al 25 gennaio, ancora pochissimi posti disponibili qui).
Se il cast è davvero all'altezza, capitanato dalla superstar Neeley che ancora sfodera gli acuti - magari smorzati - per il quale è diventato così famoso, non si può dire la stessa cosa della regia di Piparo, molte volte confusa, e del pessimo bilanciamento dell'audio: l'orchestra dal vivo, condotta con energia da Emanuele Friello, copriva in modo assordante gran parte delle voci e dei cori, spesso sovrastati completamente. Ed è un vero peccato, perché la partitura di Webber è un capolavoro di rimandi, stili diversi e sonorità rarefatte che ieri sera si sono perse in gran parte.
Il grande videowall a led che costituisce gran parte della scenografia ideata da Teresa Caruso, assieme all'immancabile scalinata, alla pedana rotante che accoglie parte dell'orchestra e alle inevitabili impalcature (non ricordo allestimento di JCS che non avesse almeno uno di questi elementi), contestualizza i testi di Rice ai versetti dei vangeli dai quali sono tratti, in una sorta di metasopratitoli, e si presta alla parata delle immagini di tutti gli orrori del mondo che ormai sono diventati la cifra registica di questi venti anni di JCS durante il brano finale Superstar (l'uso della videocamera e l'ingresso in platea dal foyer di Judas e Jesus benedicente fa sempre il suo gran effetto).
Il resto del cast, dicevamo. Feysal Borciani (Judas) sembra Carl Anderson da giovane, del resto è stato scelto da Neeley e Piparo tra 500 candidati anche per questo, oltre che naturalmente per la bravura che infonde nel ruolo. Simona Distefano, voce eccezionale, incarna una Mary Magdalene dolcissima. Emiliano Geppetti è un Pilato tormentato, Claudio Compagno è convincente nel doppio ruolo di Simon Zealotes e Pietro, Salvador Axel Torrisi interpreta con divertita ironia un Erode che sembra uscito da Shrek, mentre la coppia Francesco Mastroianni - Caiaphas e Paride Acacia - Hannas fanno faville nei loro costumi da sacerdoti. Discepoli, popolo, mangiafuoco e trampolieri si muovono con instancabile precisione ed energia agli ordini di Roberto Croce. Ottimo il disegno luci di Umile Vainieri, e bella l'idea delle spade luminose che sembrano fendere l'aria a ritmo di musica.
Nonostante i tantissimi fan e conoscitori della partitura a memoria, in questi 40 anni nessuno ha però ancora capito che non si applaude in mezzo a Gethsemane.
05 gennaio 2015
Gli Addams, secondo me
Nei mesi scorsi, dopo la premiere milanese, avevo letto pareri contraddittori, a volte molto duri, sull'esito di questo show nel suo adattamento nostrano. Non c'erano vie di mezzo: trionfo o stroncatura; e invece, la verità, secondo me, sta proprio a metà. A fine serata mi sono chiesto se senza Elio e Geppi Cucciari, che ovviamente interpretano Gomez e Morticia Addams, il musical avrebbe potuto avere la stessa risonanza mediatica e lo stesso seguito che ha avuto fin qui (le cifre ufficiali parlano di 50.000 spettatori a Milano, e del resto alla prima al Rossetti il teatro era quasi esaurito), e sinceramente penso di no. Tuttavia Giorgio Gallione, il regista, ha visto giusto: a sentire i commenti e le aspettative del folto pubblico in attesa di entrare in sala, tanti erano lì proprio per vedere i loro beniamini musical-televisivi alla prova del palcoscenico.
Anticonformisti e spiazzanti nei loro rispettivi ruoli per cui sono conosciuti sulle scene e in tv, Elio e Geppi Cucciari tratteggiano a loro modo i loro alias teatrali, pur offrendone una lettura distante anni luce dagli Addams che conosciamo e ricordiamo dalla storica serie in bianco e nero o dai cartoni creati da Charles Addams nei lontani anni Trenta.
L'algida classe di Morticia si stempera nelle prorompenti e fasciate forme di Geppi, ma non la sua tagliente ironia (anche se qualche battuta greve la Morticia storica non l'avrebbe certo fatta); e la stralunata verve istrionica e spagnoleggiante di Gomez sono declinate secondo il sense of humour e il tocco nonsense di Elio. La coppia funziona, attorniata da un cast di prim'ordine capitanato dalla professionalità, dalla voce e dalla presenza scenica di Pierpaolo Lopatriello, nei panni di zio Fester. Sorta di guida e voce narrante della storia, Lopatriello rompe spesso la "quarta parete" rivolgendosi direttamente al pubblico e offrendo uno dei momenti più lirici e toccanti dello show, quando canta alla "sua" luna di cui è perdutamente innamorato.
L'altra bella sorpresa dello show è la giovane Giulia Odetto nei panni di Mercoledì: bella voce, ben impostata, e padronanza del personaggio assai schizofrenico che deve interpretare (le avremo portato fortuna intervistandola come "duemillesima" amica del musical per la nostra webzine?). La stessa cosa si può dire dell'enorme e baritonale Filippo Musenga nei panni di Lurch: il frankesteiniano maggiordomo di casa Addams non poteva essere migliore. Sergio Mancinelli interpreta un'inedita Nonna Addams con sgraziata ed esilarante mascolinità. Ben assortito anche il team della famiglia Beineke, contraltare "normale" degli Addams alle prese con le loro stranezze e diavolerie, con i bravi Andrea Spina (papà Mal), Clara Maselli (mamma Alice) e Paolo Avanzini, il giovane Lucas per il quale Mercoledì perde la testa e porta lo scompiglio in famiglia annunciando di volerlo sposare. Il giovanissimo Emanuele Ghizzinardi sembra a suo agio nei panni scomodi del tormentato piccolo masochista Pugsley.
Il resto del cast, dicevamo, è parimenti all'altezza negli eccentrici e originali costumi di Antonio Marras; le scene di Guido Fiorato sembrano ispirate ai quadri di Dührer, e le luci di Marco Filibeck suggeriscono le atmosfere gotiche giuste, amplificate da nebbie, fumi e fondali che richiamano le macchie d'inchiostro di Rorschach.Le musiche di Andrew Lippa sono godibili, in alcuni momenti richiamano alla mente qualche quadro da Sweeney Todd, ma nulla di eccezionale e memorabile; l'adattamento in italiano di Stefano Benni funziona - almeno per chi, come me, non conosce il testo inglese - perseguendo la via della battuta facile e a volte greve.
Le coreografie di Giovanni Di Cicco richiamano alla memoria le movenze zombesche dell'incipit di Elisabeth, specie nel primo quadro quando la famiglia e tutti i loro antenati si presentano al pubblico.
Il celebre schiocco di dita che per anni ha accompagnato la celeberrima melodia degli Addams, si sente solo nei primissimi secondi dell'ouverture, e poi nel finale, tanto per inquadrare lo show; e Mano e il peloso cugino Itt rimangono a margine. Qualche lungaggine nei cambi scena non fa perdere troppo il ritmo al musical, che rimane godibile e fa divertire per due ore e mezza.
Al Politeama Rossetti fino all'11 gennaio, se potete, andateci.
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