Trieste, 14 aprile 2008 - Non è facile cantare brani di Andrew Lloyd Webber. “E’ perché quando scrive un pezzo, lo fa avendo in mente uno strumento, non la voce”, mi racconta Davide Calabrese, dopo il recital “Variazioni su Lloyd Webber” alla Sala Bartoli. “E quindi, ti trovi a dover affrontare un’estensione vocale pazzesca!”
In effetti, se bisogna fare un appunto critico alle performance del giovane cantante triestino e della sua compagna Alberta Izzo, che lo ha affiancato in questo intenso concerto, è proprio qualche incrinatura e difficoltà nel reggere i lunghi acuti che Lloyd Webber si diverte a piazzare nei finali. Per il resto, un’oculata scelta della scaletta e un paio di gustose trovate sceniche fanno di queste “Variazioni” un piccolo Bignami webberiano ad uso e consumo sia del grande pubblico – che ha affollato la sala – che dei palati più esigenti.
Il concerto, dopo l’overture dal Joseph suonata magistralmente da Corrado Gulin al pianoforte, si apre con Calabrese alle prese con un esame: deve parlare di Webber, che giudica troppo commerciale, cercando quindi di virare su Sondheim… Ma l’esaminatore immaginario incalza: mi parli di Webber e non si discute! E allora ecco spuntare la voce di Rita Pavone con “Try it and see”, clamoroso flop portato da un giovanissimo Webber in coppia con Tim Rice all’Eurofestival di fine anni Sessanta. Peccato che quella canzone, opportunamente rimaneggiata, sia diventata la clamorosa “King Herod’s song” inserita in Jesus Christ Superstar, che Calabrese interpreta e fa sua in maniera impeccabile.
Segue l’altro grande classico “I don’t know how to love him”, con l’entrata in scena di Alberta Izzo (confesso che non mi riesco a togliere dalla testa la sua Sandy; l’effetto è straniante…). I due insieme si lanciano poi in Evita: “Oh what a circus”, poi la scatenata “Buenos Aires” (complimenti a Gulin, mica è una tranquilla ballata da recital, questa!) e la dissonante “Goodnight and thank you”, dove Calabrese e Izzo dimostrano grande affiatamento e precisione.
La parte dedicata a Song & Dance si apre con un gustosissimo numero di tip tap eseguito dal ballerino Marco Rea, primo ospite della serata, che nei panni di un compassato cameriere si lascia andare sulle note delle prime “Variations”; Alberta canta giudiziosamente “Tell me on a Sunday”, mentre Davide interpreta al maschile “Unexpected song”, regalandole una sonorità nuova e più intima. Segue il momento lirico: entra in scena il secondo ospite, il tenore Raul D’Eramo, che canta da solista la delicata “Pie Jesu” dall’anomalo Requiem; e l’effetto è sorprendente.
Corrado Gulin, dopo questo momento così composto, irrompe con l’Overture dal Fantasma dell’Opera, compiendo miracoli pianistici; Alberta canta “Think of me”, e in coppia con Davide il grande classico strappalacrime e strappapplausi “All I ask of you”.
Ed ecco un divertente e inaspettato fuori programma: il duetto dei gatti di Rossini, “miagolato” con simpatia da Alberta e Raul; un simpatico preludio a Cats, attesissimo al Rossetti a fine maggio, e alla parte del recital dedicato a questo indimenticabile musical. Davide recita sulle note di “The naming of Cats” la traduzione italiana dell’omonima poesia di Thomas Eliot; Alberta si improvvisa felina furfante con “Macavity”, Davide racconta cantando le vicende di “Old Gumbie Cat” (con un altro intervento tip-tapposo di Marco Rea) mentre con Raul si cimenta nel toccante duetto dedicato a “Old Deuteronomy”.
Finale in crescendo: ancora Raul con “Love changes everything” da Aspects of Love, Davide con “The greatest star of all” da Sunset Boulevard e Alberta con “Whistle down the wind” dal musical omonimo – canzone e circostanza scelta non a caso: sembra di vedere lo stesso Webber al pianoforte e Lottie Mayor nel finale della “Celebration” alla Royal Albert Hall.
Applausi e ovazioni a non finire per tutti e cinque i protagonisti; e non possono mancare i bis. Prima il duettone “Too much in love to care”, ancora da Sunset Boulevard, con Davide e Alberta che diventano Joe Gillis e Betty Schaefer, e poi tutti insieme per una versione corale di “Love changes everything”.
Uno spettacolo gradevolissimo, di buon gusto, che spero trovi spazio anche in altre città italiane.
P.S.: non mi sono dimenticato dell'intervista... pazientate gente, pazientate!
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